L’autunno a Chernobyl – #2: le barche nel ghiaccio e il buio della centrale 5\6
Sabato 19 Novembre 2011. Al risveglio, dalle ampie finestre dell’undicesimo piano, Kiev mi si presentava con i toni dell’autunno inoltrato, fredda, umida e velata, quanto basta per immaginare un ingresso nella Zona di esclusione circondati da una scenografia estremamente suggestiva.
Mentre mi preparavo a scendere una telefonata mi ricordò che ero atteso all’ingresso. In Ucraina l’orologio deve essere portato un’ora avanti, e l’arrivo a mezzanotte dopo il turbolento viaggio di andata non mi fece pensare ad altro che ad attimi di relax. Il pensiero della colazione si arrestò allo stadio di desiderio.
Senza ingoiare alcunché, pur vuoto dal precedente viaggio, presi posto in una delle due auto.
In tre ore si arrivò al primo check point. Una robusta guardia in mimetica espletava controlli formali sui passaporti. Il primo impatto con questi militari stampati in serie dalla cultura sovietica potrebbe indurre qualche timore. E’ una cultura che ha fatto del sospetto un’arma, ma ciò va dissolvendosi nel tempo.
Rispetto al primo viaggio della scorsa primavera i segni dell’imminente inverno segnano più profondamente ogni dettaglio del paesaggio desolato.
La prima destinazione della giornata era il porto. Lo scorso anno fu posto al termine di un denso programma. Fotografati dalla distanza questi relitti ricoperti di ruggine non apparivano molto diversi da anonimi rottami inclinati sul pelo d’acqua.
Il freddo, avendo gelato lo strato superficiale dell’acqua, e complice un cielo grigio scuro che manterrà quel tono per tutta la giornata, dava una tonalità argentea allo specchio che intrappolava i relitti.
Ci sono oggi meno imbarcazioni di quelle che un tempo erano ormeggiate. Con l’approssimarsi di ogni inverno la crosta di ghiaccio ha reso agibili i perimetri delle imbarcazioni, permettendo ai demolitori di farle pezzi, lasciando che involucri simili a lische di pesce affondassero o si inclinassero sulle rive.
E’ uno dei tanti volti della morte della Zona di esclusione, della sua lenta trasformazione, dell’oblio rappresentato anche dalla scomparsa di questi contenitori inghiottiti dalle acque e dal fango.
La breve giornata di apertura del viaggio non lasciava molti margini di scelta. Dopo brevi pause volte a dettagliare la Chernobyl attuale, al monumento dedicato ai Vigili del Fuoco, e un piccolo recinto con robot impiegati nelle fasi di decontaminazione, il furgone girò lo sterzo verso l’area delle centrali.
Dal canale l’assenza di foglie sui rami rende più limpida la visione degli elementi del paesaggio.
Da lì, a poca distanza, si parcheggiò a fianco del blocco 5\6, già visitato in primavera. Una meta fuori dalle rotte del turismo ma che apparentemente risulta oggi relativamente più accessibile.
In questa visita ci fu concesso più tempo, e migliori erano le condizioni di illuminazione artificiale. Gli interni della centrale in costruzione al tempo dell’incidente sono stati così ulteriormente documentati. Indefinibile è il futuro di questi edifici e dell’intera area. Ogni viaggio in questi luoghi si conclude nell’incertezza di un possibile ritorno.
La gigantesca struttura sta subendo una duplice decomposizione dovuta a fattori ambientali ed umani, un operazione di lento smontaggio e di arresa all’azione degli agenti atmosferici.
La salita al primo tetto mostra l’operazione di taglio effettuata, e si rende evidente la precarietà che avanza e logora le proprietà strutturali.
Questa giornata breve ed introduttiva non avrebbe potuto offrire migliori risultati.
Girate le ruote verso Chernobyl si giunse ad un bar. La guardia ci aveva portato a cena, alle cinque del pomeriggio.
I servizi igienici si potevano definire solo servizi, con rubinetti di epoca incerta, mancanza di sapone e metodi di asciugatura, toilette senza porte.
Cosa chiedere ad un luogo che la geografia considera nelle proprie carte ma la storia vorrebbe non averlo mai conosciuto. E’ parte dell’esperienza in una ambiente che sopravvive al proprio abbandono.
Il tavolo quadrato attendeva di ricoprirsi di semplici pietanze. Come altre volte fui l’unico a non lasciar tracce commestibili attorno a me. Del resto l’errore commesso a causa del fuso orario mi fece saltare la colazione, il pranzo in questi tour è un lusso non permesso. Cinque biscotti e qualche snack avevano creato un abisso nell’apparato digerente.
Ci attese un menù senza sorprese ed allineato con la cucina dell’Europa occidentale: vareniki, ravioli ucraiani, e pollo con purè, oltre alla selezione variabile di accompagnamenti, solidi e liquidi.
Alle 6:00 del pomeriggio nella stanza dell’ostello, in compagnia di un inglese, terminavano le sorprese della giornata. Non si uscì infatti che al mattino successivo. Ma di questo se ne dirà nella successiva puntata.